Fake news e marketing: il caso del Blue Monday
Lo scorso 15 gennaio è tornato il tormentone del Blue Monday, noto come il giorno più triste dell’anno: secondo alcune ricerche, infatti, il terzo lunedì del mese di gennaio coinciderebbe con il culmine della negatività, tra ansia, irritabilità e depressione. In realtà, sarebbe solo l’ennesimo caso in cui fake news e marketing decidono di prendersi per mano e sfruttare l’onda lunga di una trovata che nulla ha a che fare con l’evidenza scientifica. Ma andiamo con ordine.
Correva l’anno 2005 e l’area marketing di Sky Travel, una compagnia di viaggi britannica, cercava un modo per invogliare le persone ad acquistare un viaggio, in un periodo – quello post natalizio – in cui le vendite subiscono naturalmente un’inclinazione, complici le spese sostenute nel mese di dicembre per cenoni, vacanze e regali.
Come convincere, dunque, la clientela a comprare un viaggio, magari verso una meta lontana? L’idea fu quella di far credere che al terzo lunedì di gennaio coincidesse un’incredibile e diffusa tristezza, alla quale si sarebbe potuto rimediare regalandosi qualcosa di bello, come ad esempio e guarda caso… una bella vacanza!
Ok, la trovata pubblicitaria c’era, ma come dare fondamento scientifico? Era necessario un esperto che accettasse, dietro compenso, di mettere la propria firma a uno studio secondo il quale, a causa di fattori come condizioni meteorologiche, debiti pregressi, bassa motivazione, buoni propositi falliti e distanza temporale dal periodo natalizio, esistesse matematicamente un giorno in cui ci si sente più tristi: il Blue Monday, per l’appunto. A vendere il proprio nome e la propria reputazione per 1.650 sterline fu Cliff Arnall, psicologo presso l’Università di Cardiff.
Il pacchetto ideato dalla Sky Travel era finalmente concluso: la campagna promozionale poteva partire e il comunicato stampa aziendale fu inviato alle testate giornalistiche, le quali riportarono la falsa teoria del Blue Monday sulle loro pagine, senza metterne in dubbio la veridicità.
Fu così che ebbe inizio un fenomeno che continua ancora oggi, nonostante la natura della bufala sia ormai nota: qualche anno dopo, infatti, Cliff Arnall ammise di essere stato comprato e fu allontanato dall’Università di Cardiff, mentre la comunità di esperti da tempo ribadisce l’inesistente base scientifica della teoria.

Eppure, nonostante l’evidente legame tra fake news e marketing, ogni anno quotidiani, riviste e blog ricordano la ricorrenza del terzo lunedì di gennaio, dando ancora per buona un’evidenza scientifica ormai smentita in pieno. Inoltre, non poche aziende continuano a sfruttarne la scia per incoraggiare l’acquisto dei propri prodotti; sui social, nemmeno a dirlo, il leit motiv in occasione del Blue Monday è sempre presente.
C’è un modo per arrestare il dilagare di questa bufala? In teoria sì, e sarebbe quello di continuare a riportare la realtà dei fatti e renderla nota a chi ancora non la conosce: un po’ quello che stiamo cercando anche noi di fare, con questo post, ma che sicuramente le testate giornalistiche dovrebbero sposare con più convinzione.
In pratica, il Blue Monday – così come il suo complementare Happiest Day, che cadrebbe in corrispondenza del solstizio d’estate – fa comodo alle strategie di marketing di varie aziende e c’è evidentemente poco interesse generale alla smentita: ma siamo sicuri che sfruttare una bufala, per giunta conclamata, per il proprio piano marketing non finisca per togliere implicitamente credibilità al brand aziendale?
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